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I Giovani sono i semi del mondo che verrà. E allora a cosa serve parlare loro di una guerra che è avvenuta 100 anni fa, per di più fra una serie di Stati che nemmeno più esistono? Serve a tenere viva la consapevolezza di come si arriva ad un conflitto e quali sono le sue conseguenze. La guerra, infatti, è il frutto delle pulsioni peggiori degli esseri umani, che anche quando sembrano sconfitte rimangono sotto la cenere e sono pronte ad esplodere da un momento all’altro. Nazionalismo, razzismo, odio verso il diverso, militarismo, hanno portato milioni di europei ad odiarsi e combattersi reciprocamente perché abbindolati che i loro problemi derivassero dai cittadini degli stati confinanti e che un conflitto non fosse solo necessario, ma anche un  modo per onorare la propria comunità. Sentiamo le parole toccanti del poeta Wilfred Owen morto proprio nel 1918, che nei momenti più tragici della vita al fronte riflette sulle convinzioni che lo hanno portato in quella situazione.

 

DULCE ET DECORUM EST di Wilfred Owen

 

[...]

Gas! Gas! Veloci, ragazzi! – Un brancolare frenetico,
mettendosi i goffi elmetti appena in tempo;
ma qualcuno stava ancora gridando e inciampando,
e dimenandosi come un uomo nel fuoco o nella calce…
Pallido, attraverso i vetri appannati delle maschere e la torbida luce verde,
come sotto un mare verde, l’ho visto affogare.

In tutti i miei sogni, prima che la mia vista diventasse debole,
si precipita verso di me, barcollando, soffocando, annegando.

Se in qualche affannoso sogno anche tu potessi marciare
dietro al vagone in cui lo gettammo,
e guardare gli occhi bianchi contorcersi nel suo volto,
il suo volto abbassato, come un diavolo stanco di peccare;
se tu potessi sentire, ad ogni sobbalzo, il sangue
che arriva come un gargarismo dai polmoni rosi dal gas,
ripugnante come un cancro, amaro come il bolo
di spregevoli, incurabili piaghe su lingue innocenti, –
amica mia, tu non diresti con tale profondo entusiasmo
ai figli desiderosi di una qualche disperata gloria,
la vecchia Bugia: Dulce et decorum est
pro patria mori.

E allora è importante, in questo 2022 macchiato dal ritorno della guerra in Europa, ricordare la prima guerra mondiale non come momento di eroismo della nazione, ma come “l’inutile strage” - citando Papa Benedetto 15esimo - che ha strappato milioni di giovani dalle loro famiglie, dal loro posto di lavoro, dalle loro case per andare a morire, spesso in maniera atroce, senza motivo. 

Studiare la prima guerra mondiale, dunque, non deve essere un momento in cui si celebra la grandezza della nazione, ma al contrario un ammonimento a non fare mai più la guerra! 

Per portare davvero rispetto a  questi ragazzi inutilmente morti in posti lontani, non dobbiamo vestirli da eroi, ma ricordarci che avrebbero volentieri continuato a vivere e avrebbero anche loro partecipato alla costruzione di questo paese, la Repubblica Italiana, che – fra le altre ragioni - è un grande paese proprio perché non fa la guerra ma la ripudia.
Ricordiamoci sempre le parole di Bertold Brecht: 

La guerra che verrà 

Non è la prima. 

Prima ci sono state altre guerre. 

Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. 

Fra i vinti la povera gente faceva la fame. 

Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.

Articolo del prof. Mauro Bosia

 

Un momento delle attività

Storytelling

12 Ott, 2022

Il progetto denominato “Storytelling” intende stimolare gli alunni a esprimersi…